IInevitabile imbattersi in Alessandro Baricco in questo 2014. La ricorrenza dei vent’anni dalla pubblicazione di uno tra i suoi maggiori successi, ci obbliga a rispolverare quel suo meraviglioso incantesimo ambientato sull’oceano.
Novecento è stato ideato nel 1994 da un Baricco trentenne che aveva voglia di scrivere qualcosa per gli amici Gabriele Vacis e Eugenio Allegri, rispettivamente regista e attore che stimava (e stima) molto. Gli venne questa insolita idea di scrivere un monologo, forma teatrale ancora inedita in Italia.
Risultato: un milione di copie vendute, una leggendaria versione cinematografica firmata da Giuseppe Tornatore (ed egregiamente interpretata da Tim Roth nel 1998), una serie non breve di rappresentazioni teatrali e addirittura un fumetto sceneggiato dallo stesso Baricco con protagonisti Topolino e Pippo.
Questo capolavoro resta nel cuore perché tocca alcune corde sottili ma potentissime, come il mondo della musica, del pianoforte coi i suoi 88 tasti e l’incredibile, geniale melodia che può scaturire dalle piccole mani di bambino di 8 anni a cui nessuno ha insegnato a suonare.
Il tema dell’abbandono, quello che subisce ancora neonato il protagonista della storia Danny Boodman T. D. Lemon Novecento, lasciato nel salone di prima classe di un transatlantico perché venisse trovato da qualcuno in grado di dargli un futuro.
La danza, vista come motivo per suonare e per gioire della vita, “perché se balli non puoi morire” . È quella che si può fare anche insieme all’oceano, togliendo i blocchi dalle ruote -quelle fisiche e quelle mentali- e lasciandosi trasportare dalle onde.
Il concetto di limite, quello che Novecento trova tra i confini della nave ma che non compromette mai l’infinità di storie e conoscenze che può acquisire, che può leggere negli occhi dei passeggeri, che può annusare addosso alle loro giacche, che può sentire attraverso le loro anime. Proprio come i tasti del pianoforte, limitati. Ma la verità è che Tu sei infinito, non loro.
E ancora, il tema a noi più caro: la nave e il mare.
La storia è ambientata a bordo del Virginan, un piroscafo che copriva la tratta tra Europa e America dai primi anni del Novecento fino alle due Guerre, poi adibito a ospedale galleggiante durante la seconda.
Diviso in classi come era consuetudine a quel tempo, Baricco ci fa respirare l’aria sporca delle sale macchine così come l’eleganza e la raffinatezza dei saloni di prima classe, fino a farcene immaginare i meandri più nascosti, dove il piccolo Novecento si era nascosto per giorni senza farsi trovare da ufficiali e comandante.
In quegli stessi angoli reconditi, molti anni più tardi e quasi alla fine della storia, riesce a scomparire perfino quando il Virginian è prossimo alla demolizione.
La domanda nasce spontanea: esiste davvero il Virginian o è un piroscafo di fantasia?
Possiamo ipotizzare che la verità stia nel mezzo: nel 1905 fu varato un transatlantico chiamato RMS Virginian per la compagnia scozzese Allan Shipping Line e impiegato poi dalla Swedish American Line e dalla Home Lines (una compagnia italiana acquisita in seguito dalla Holland America), fino alla sua dismissione avvenuta a Trieste nel 1955.
I riferimenti sono simili, pur non coincidendo del tutto.
L’informazione più precisa che abbiamo è che il Virginian di Baricco assomigliava “in tutto e per tutto al Titanic”.
Lasciamo perciò il giusto spazio alla fantasia, perché “comunque, poco importa. A me sembra una bella storia, che valeva la pena di raccontare. E mi piace pensare che qualcuno la leggerà”. Parole dell’autore.