La fine del transatlantico Ss United States è arrivato, ma per dare spazio ad un nuovo inizio. Dopo l’annuncio che risale a luglio scorso l’organizzazione no profit Ss United States Conservancy con un assegno di 5,8 milioni di dollari è diventato il proprietario del celebre transatlantico Ss United States che dal 1996 giace in una sorta di coma di fronte a una banchina della periferia portuale a sud di Filadelfia. Nel suo futuro è in progetto una riconversione in struttura turistica e non solo. In parte albergo, museo, addirittura c’è in mente un centro commerciale e casinò.
In breve, i progetti per il vecchio transatlantico ci sono, ma il problema per ora resta il capitale disponibile che basta solo per le spese di manutenzione-parcheggio dei prossimi 20 mesi.
La Storia
di Arturo Cocchi
Il nome United States risuona con tutta la sua aura di leggenda a chiunque abbia conoscenze minime di marineria, un alone che neanche l’attuale livrea cadente e arrugginita riesce a scalfire. Costruita all’inizio degli anni Cinquanta, la United States è il transatlantico – guai a chiamarla nave da crociera – più veloce mai esistito. Nel luglio del 1952, in un viaggio andata e ritorno da Ambrose, nella Baia di New York al faro di Bishop Rock, in Cornovaglia, frantumò i precedenti primati sulla traversata Europa-Nordamerica, stabilendo due record, rispettivamente di 3 giorni, 10 ore e 40 minuti e di 92 minuti in più nella tratta Oriente-Occidente, che vale il celebre Nastro azzurro. Due primati, il più rapido dei quali percorso alla media di 35,59 nodi (quasi 66 chilometri orari) tuttora imbattuti, almeno se si parla di navi vere e non di prototipi superveloci dedicati, costruiti e pilotati da miliardari in cerca di fama.
Quasi due volte più veloce, con i suoi 38 nodi di punta, degli odierni colossi da crociera non vincolati agli obbighi del servizio di linea, ma anche nettamente più rapido di tutti i transatlantici della sua generazione e di quella seguente, il Concorde degli oceani aveva molti altri motivi per non essere considerato un vascello come gli altri.
Nata allo scoccare degli Cinquanta, a cavallo tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’inizio della guerra fredda, la United States era un incrocio tra un mezzo militare e un normale vascello passeggeri.
Nei suoi 302 metri di lunghezza, per 53 mila tonnellate di stazza lorda, potevano infatti essere ospitati 1900 viaggiatori o, in alternativa, e con rapida conversione, 14 mila soldati, da trasportare nel minor tempo possibile dove necessario. Costruita da un’icona del design navale, l’architetto Francis Gibbs, la nave aveva poi un’autonomia di 11 mila miglia nautiche (quasi 20mila chilometri), poteva cioè fare mezzo giro del mondo senza rifornire. I motori erano di tipo militare, come lo erano la costruzione a compartimenti o la struttura delle comunicazioni telefoniche, o la presenza di stazioni di timoneggio multiple.
Per la fortuna di tutti noi, la vocazione militare del particolarissimo mezzo non ebbe mai ragione di essere impiegata. La United States svolse così la sua brillante carriera da transatlantico di linea fino al 1969.
La concorrenza degli aerei era nel frattempo diventata troppo forte, negli Usa prima che nel resto del mondo: non rimaneva che imboccare il mesto tunnel dell’oblio, come sarebbe accaduto a tutti i bastimenti della sua era, tra cui le nostre Michelangelo e Raffaello.
Quindici anni fa fu collocata nella posizione attuale, mentre l’ultimo proprietario (fino a ieri), l’armatore Norwegian Cruise Line (di proprietà asiatica) tentava l’impervia strada di un restauro finalizzato a fare l’ammiraglia della sua linea, ben presto fermato dai costi.
Il futuro sembrava segnato: un lento ma inesorabile decadimento allo stato di ruggine alla periferia di Filadelfia. Ma ora, un pizzico di speranza per i molti americani che considerano il “transatlantico militare” un pezzo di storia a stelle e strisce arriva da questo gruppo di entusiasti.
Ne fanno parte, tra gli altri, Susan Gibbs, nipote del progettista, Dan McSweeney, capitano di marina, un americano di prima generazione il cui padre emigrò negli States per lavorare alla costruzione della United States, e Gerry Lenfest, un filantropo di Filadelfia, che ha contribuito più di tutti per la parte finanziaria.