Aspettando il battesimo della nuova ammiraglia MSC Splendida, diamo uno sguardo al dietro le quinte di una nave come la “Splendida” dove i veri protagonisti sono il team che hanno disegnato i numerosi interni della nuova ammiraglia…lo studeo De Jorio Design.
Tratto da: Ilsecoloxix-
Nell’immaginario collettivo lo studio di un architetto di grido, o “archistar”, come si dice oggi, è un luogo asettico, possibilmente lontano dai frastuoni della città, fatto di ampie vetrate, arredi minimal e guru che si aggirano vestiti di nero circondati da una nuvola di collaboratori-discepoli. Bene, lo studio de Jorio, che da cinquant’anni detta la linea delle più belle navi del mondo, è l’esatto contrario di questa concezione: campioni di stoffa, lampadari, seggiolini, poltrone sparse ovunque. E poi ancora giornali, progetti, cartelle, computer, modellini, riviste e una montagna libri. Fuori dalle finestre, il traffico di Genova, caotico anche sotto il cielo di luglio. Un luogo di lavoro, che racconta di successi, invenzioni e giornate di fuoco.
È qui dentro che è nata l’idea delle navi Msc: avvolgenti, riposanti, qualche tocco di follia ma senza esagerare. Di fatto, gran parte dello “stile italiano” su cui batte e ribatte la compagnia di Gianluigi Aponte, sta nel cervello e nelle mani di questi signori, padre (Giuseppe) due figli (Marco e Vittorio) che con il loro staff dal 2001 hanno raccolto la sfida dell’armatore mezzo sorrentino e mezzo svizzero, e che fino a quel momento pareva interessato solo ai container. L’obiettivo era quindi entrare nel mondo delle crociere, creare qualche cosa di nuovo, lontano dallo stile Usa in voga fino ad allora. Carico, barocco, hollywoodiano: pensato appunto per una sensibilità americana, che fino a dieci anni fa erano di gran lunga i maggiori estimatori delle crociere. Così i de Jorio si sono messi a tavolino. «Abbiamo pensato ai grandi resort, all’idea di un lusso che fosse però alla portata di tutti» spiega Marco de Jorio. L’armatore ci ha messo del suo: Rafaela, moglie di Aponte, partecipa alla realizzazione di ogni progetto. E le ultime due unità, cioè “Fantasia”, inaugurata pochi mesi fa, e “Splendida” pronta a prendere il largo a Barcellona, sono per ora l’ultimo capitolo di questa storia: spazi curati in ogni minimo dettaglio (ecco perché lo studio è sommerso da oggetti di ogni genere: i fornitori li portano, poi bisogna provarli, vederli, studiarli), giochi d’acqua e di luce, ampio uso della tecnologia. E poi attenzione per le superfici, perché tutti i sensi devono essere attratti, stimolati: quindi anche il tatto, con la scelta di un materiale piuttosto che di un altro, o l’olfatto, attraverso l’utilizzo delle essenze. I de Jorio sono particolarmente orgogliosi della spa («ma lei lo sapeva che è un termine latino? Significa “salus per aqua”).I principi guida, spiega de Jorio senior, «sono tre: ovviamente quello che ti chiede la committenza, quello che ci suggerisce la nostra cultura, la nostra sensibilità: siamo italiani, e lo stile, il gusto, sono cose che abbiamo tutti nel sangue. Ce le hanno trasmesse le città e i paesi dove siamo cresciuti. Infine, la fruizione. Il destinatario, che in questo caso è il cliente della nave. Ma è un discorso generale, vale anche per l’edilizia civile. E a me pare che talvolta questo concetto sia un po’ perso di vista».
Così attrezzati, si affronta l’«urbanistica» della nave. Uno spazio ristretto, nel quale devono convivere tre, quattromila persone. Per de Jorio un punto fondamentale nella sua carriera è il 1985, quando progettò la “Costa Riviera”: la prima nave interamente pensata per le crociere, per la vacanza a bordo. «Cominciai a pensare agli spazi comuni: alla piazzetta con i negozi. Ai ristoranti a bordo della piscina, al teatro, che era un teatro vero e proprio, non un piano bar». Elementi di un linguaggio che da quel momento divenne universale. E adesso, qual è il futuro? «La possibilità di creare sempre più superfici all’esterno» risponde Marco de Jorio. E poi ci sono le dimensioni. Dovremmo avere per forza a che fare con navi sempre più grandi? «Le navi sono grandi perché in questo modo permettono economie di scala. Non solo a chi le gestisce, ma anche ai cantieri che le costruiscono: agli armatori vengono proposte delle unità che sono costituite da veri e propri blocchi funzionali, sui quali è poi possibile intervenire con delle modifiche». La grande dimensione insomma conviene, ma «è innegabile che anche su questo dovranno valere le richieste del mercato – conclude Vittorio de Jorio -. In ultima analisi, è quello che detta le tendenze». Trasformarle in realtà, spetta agli armatori. E ai loro architetti.