Sono passati 25 anni. Esattamente un quarto di secolo da quella tragedia che si verificò il 10 Aprile a due miglia dal porto di Livorno. Due navi entrano in collisione: una ospita 38 persone, si salvano tutte; l’altra 141, ne uscirà viva una sola. La domanda rimane sempre viva: Perché? I parenti delle vittime non hanno ancora smesso di chiederselo e sono sempre alla ricerca della verità e della giustizia.
La sera del 10 aprile 1991, presso il porto di Livorno, alle ore 22:03, il traghetto Moby Prince, mollò gli ormeggi alla volta della Sardegna, direzione Olbia. A bordo era presente l’intero equipaggio, formato da 66 persone e 75 passeggeri. Il traghetto, durante l’uscita dal porto, colpì con la prua la petroliera Agip Abruzzo, squarciando una delle cisterne che conteneva centinaia di tonnellate di petrolio non ancora scaricate.
Parte del petrolio che fuoriuscì dalla cisterna della petroliera Agip Abruzzo si riversò in mare, parte invece investì in pieno la prua del traghetto. A causa delle scintille prodotte dallo sfregamento delle lamiere delle due navi al momento dell’impatto, il petrolio prese rapidamente fuoco, incendiando il traghetto.
La nave cominciò a bruciare esternamente, ma l’incendio non si estese a tutta la struttura in quanto, il Moby Prince era provvisto di paratie tagliafuoco per impedire la propagazione delle fiamme.
Nel frattempo l’equipaggio fece sistemare i passeggeri nel salone De Luxe, situato a prua nave, in attesa dei soccorsi. Mai scelta fu più sbagliata. Le fiamme provenienti dalla parte anteriore, una volta raggiunto il salone, lo accerchiarono bruciando tutti gli arredi e le strutture circostanti. Il salone De Luxe si trovò proprio in mezzo all’incendio e quando l’equipaggio se ne rese conto, ormai fu troppo tardi per far evacuare le persone. Gli esami tossicologici rilevarono un altissimo contenuto di monossido di carbonio nel sangue delle vittime, segno che in molti sopravvissero per ore all’incendio e dunque, non tutti morirono a causa delle fiamme.
In quella sera maledetta 140 persone persero la vita; l’unico superstite fu il giovane mozzo napoletano Alessio Bertrand.
Il naufragio del Moby Prince è in termini di vite umane, la più grossa tragedia della Marina mercantile Italiana. Il 28 maggio 1998, la nave (posta sotto sequestro) affondò nelle acque del Porto di Livorno mentre era ormeggiata alla banchina; fu poi recuperata e avviata alla demolizione in Turchia.
A distanza di anni non si è fatta ancora chiarezza. L’unica certezza sono i 140 morti.
Varie sono state le ipotesi: errore umano, la nebbia, i depistaggi. Tante supposizioni ma nessuna verità. Tutti assolti. Non ci sono colpevoli per quei 140 morti, inghiottiti da un rogo che nessuno è riuscito a domare.
Oggi il difficile compito della ricostruzione della tragedia è in mano al Parlamento che dovrà spingersi dove nessuno si è voluto o potuto spingere. Spetta a loro il delicato compito di riscrivere la storia del Moby Prince.
Da non sottovalutare anche il grande impegno delle famiglie delle vittime che non hanno mai smesso di tenere vivo il momento di questo disastro del mare.
Grande merito va infatti ai familiari ed alla “Associazione 10 Aprile Familiari vittime Moby Prince”, che non hanno mai smesso di chiedere spiegazioni, in questi anni in cui si sono alternati silenzio, omissioni ed ingiustizie.
Vogliono comprendere cosa è successo quella notte e perché 141 persone rimasero per troppo tempo senza soccorsi, con il porto di Livorno e le sue strutture a poche miglia di distanza.
A distanza di anni, l’unica cosa certa è che la reale storia del Moby Prince sia ancora da scoprire, perché tanti, troppi punti non sono ancora chiari; ragion per cui il ricordo deve rimanere vivo in modo che questo fatto della storia d’Italia non venga dimenticato.